La pioggia mi mette in uno stato di prostrazione e l’unico elemento naturale, nei soli mesi invernali, che mi piega alla sua volontà.
Già di mio non è che sia scoppiettante come un tricche e trac ma la pioggia spenge in me le polveri dell’artificio.
Lavoro con il computer vicino a una grande finestra e i colori assenti e impastati di tonalità di grigio degradanti del cielo che piange mi distraggono, mi rallentano e mi immalinconiscono. Quando piove mi sento più solo, e ho percezione di me solo per i dolori alla cervicale e alla colonna vertebrale.
Il cervello continua a lavorare ma ferma la sua attenzione solo su ricordi tristi, notizie lugubri, pensieri annodati.
Intendiamoci io amo l’acqua, direi che è il mio elemento preferito, ma la amo sotto di me e non sopra la mia testa che cola da una nuvola lontana.
Tollero la pioggia estiva perché la sfido nell’uscire nonostante lei precipiti, ma le fredde gocce autunnali non mi procurano nessuna piacevolezza fisica.
La pensa come me il mio cane, che però, senza associare il fenomeno climatico alla riflessione pindarica, quando piove, non si muove dalla cuccia e quando prendo il guinzaglio per farlo scendere mi guarda e scappa. Credo che Lothar sia un intellettuale essenziale assai più avanti di me nel processo di comprensione dei fenomeni e nell’elaborazione delle corrette reazioni.